Tartufo Bianco d’Alba: identikit di una vera prelibatezza

Il sogno proibito o, meglio, “proibitivo”, di tutti gli estimatori di questo fungo sotterraneo

Gruppo di tartufi bianchi e neri su tavolo

Tartufo Bianco d’Alba: identikit di una vera prelibatezza

Quando si dice tartufo la mente corre subito al Tartufo Bianco d’Alba, quello che nasce in Piemonte, nelle Langhe, nel Roero e nel Monferrato.

In realtà, l’Italia può essere considerata a tutti gli effetti la patria del tartufo, non solo per la quantità e la qualità del raccolto ma anche e soprattutto perché la ricchezza ambientale del nostro Paese fa sì che vi crescano tutte le varietà commestibili più apprezzate, nove in tutto, e ogni varietà è associata a particolari aree geografiche tanto da poterci permettere di intraprendere un ideale percorso dal Piemonte fino alla Sicilia.

Il tartufo era già assai apprezzato alla tavola dagli antichi Romani. Plinio il Vecchio sosteneva che il tartufo, a quel tempo definito tuber, fosse un prodotto miracoloso della natura in quanto nasce e cresce senza radici e il poeta Giovenale spiegò l’origine del prezioso fungo come frutto di un fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia, albero sacro al signore degli dei.

Nel Medioevo e nel Rinascimento il suo aroma era considerato come una specie di quinta essenza che provocava sull’essere umano un effetto estatico.

Nel Settecento, ancora lo credevano un tubero, definito Tuber Albidum, affine alla patata, al topinambùr, al bulbo dei fiori ed era considerato un alimento tra i più ghiotti. I tartufi piemontesi erano apprezzati al punto che Cavour lo usava come “dono diplomatico” per rabbonire avversari e capi di stato, inviandoli presso tutte le corti europee.

Fu solo alla fine del Settecento che il medico torinese Vittorio Pico, nella sua tesi di Laurea in medicina del 1788, lo classificò tra i funghi e definì il tartufo bianco Tuber magnatum (fungo dei potenti). Da qui il nome scientifico Tuber Magnatum Pico.

Ma allora perché tra tutte le nove varietà, il Tartufo Bianco d’Alba è così apprezzato?

Cos’ha di diverso da tutti gli altri? Perché è così caro?

Scopriamolo insieme!

E’ nel Novecento che il tartufo d’Alba ha acquistato fama mondiale, grazie al ristoratore Giacomo Morra, conosciuto proprio come il «re del tartufo».

Infatti, usando il più capillare sistema informativo dell’epoca, quello delle parrocchie, diffuse presso i contadini delle Langhe l’uso di portare al suo Hotel Savona, quando andavano ad Alba per il mercato, le trifole che trovavano in campagna e che non sapevano come impiegare. Morra li comprava tutti, sempre, e li serviva ai clienti del ristorante. Nel secondo dopoguerra, cominciò a inviare in dono i più belli della stagione ai vip e alle star: nel 1949 a Rita Hayworth, nel ’51 al presidente Truman (il tubero pesava 2 chili e mezzo), poi a Churchill, a Marilyn e Joe DiMaggio.

Fu sempre grazie a Giacomo Morra che la annuale fiera vendemmiale, appuntamento che si svolgeva dal 1928 e dedicato alla celebrazione dei prodotti della terra, acquisì un respiro internazionale e la “trifola” – questo il nome del tartufo in piemontese- venne usata come premio da conferire a personaggi illustri della politica, dello sport, dello spettacolo. 

Il Bianco d’Alba è da sempre considerato il re di tutti i tartufi, il più profumato, il più aromatico e il più raro, in quanto non è coltivabile e non è conservabile a lungo.

Questo vero e proprio diamante, definito anche «diamante grigio» dei boschi, che nasce sottoterra senza che in superficie se ne vedano foglie, fiori o radici, in simbiosi con le radici di specifiche piante, fra cui cerro, rovere, roverella, pioppo, tiglio, nocciolo, carpino e salice bianco, succhiando, come un parassita, la linfa che la radice della pianta simbionte estrae dal terreno ricavandone profumo, sapore e colore.

Ecco, allora, la ricetta di questo successo: “il fascino di un prodotto raro e misterioso, il rito, altrettanto affascinante della cerca e cavatura con i cani, il “mestiere” di “trifolaio”che si tramanda da generazioni, inserito nella lista dei patrimoni immateriali dell’Umanità dall’UNESCO nel 2021, la sua resa in cucina e la geniale iniziativa promozionale di un imprenditore che ha reso leggendario il tartufo e le zone in cui questo si sviluppa, quelle fra le Langhe e il Monferrato, un territorio fatto di eccellenze conosciute nel mondo, come il vino, le nocciole.